Pisa – L’Assessore alla cultura del Comune di Pisa, Andrea Buscemi, interviene con una lettera agli organi di stampa in merito alla vicenda della raccolta firme promossa per chiedere le sue dimissioni. Il neo-assessore dell’amministrazione Conti dichiara che la situazione è divenuta insostenibile avendo ricevuto anche minacce di morte. “Con la presente intendo comunicare alla Stampa – si legge nella lettera – di essere stato oggetto di minacce di morte. Le minacce, giunte per missiva da Firenze e piuttosto circostanziate nella descrizione degli intenti, sono già state da me denunciate presso le forze dell’ordine. Naturalmente, esse fanno riferimento alla ben nota vicenda processuale che mi ha visto imputato (e prosciolto), a seguito di querela da parte di una mia ex compagna. Tralasciando le offese, piuttosto pesanti, e la minaccia per la mia vita, il latore mi invita tra l’altro a vergognarmi “…a portare il tuo essere da persecutore di donne…”, ad andarmene via dal Comune di Pisa “finché sei in tempo…non sto scherzando per nulla…”; “…se fossi in te sarei scappato da Pisa per andare altrove ma sei troppo pieno di te ma vuoto d’anima…”(sic), consigliandomi tra l’altro di mettermi “…una maschera da lottatore messicano…”, e preannunciando (dopo varie invettive) che …” occhio dalle parole le donne di Pisa passeranno ai fatti molto pesanti…”.
La prosa non è delle migliori, e questo basta a confortarmi un pò. Ma non mi conforta affatto il clima che si è venuto a creare attorno a una vicenda che dovrebbe considerarsi chiusa da tempo, e che solo l’atteggiamento scriteriato di taluni ha fatto riemergere con un’enfasi pericolosissima. Un’enfasi che non avrebbe nessuna ragion d’essere ma che, com’è evidente, può trascinare le menti più fragili e suggestionabili a compiere gesti inconsulti. Intendiamoci, non ho affatto paura di minacce siffatte. Anzitutto perché so di non meritarmele, ma soprattutto perchè il clima si è talmente esacerbato da ritenerle perfino inevitabili. Voglio ricordare che, in brevissimo tempo, si è passati dalla presentazione alterata della suddetta vicenda processuale sui social, con relativa esternazione di esecrabili offese contro di me, al lancio di una petizione che si basa in sostanza su una grave diffamazione (in essa si parla di me come di un uomo che ha “stalkizzato” le sue compagne per quindici anni: un’evidente delirio da parte della coordinatrice dell’iniziativa, che sarà chiamata a rispondere in sede opportuna ), a sit-in di vario genere e entità, a volantinaggi anch’essi diffamatori, a sollecitazioni presso vari politici toscani e romani (sempre offrendo loro un reportage artefatto della questione), in un crescendo di pestaggio e di fango verso il sottoscritto che è culminato nell’invasione niente affatto pacifica (persone del mio entourage sono state aggredite verbalmente e rincorse fin nel mio ufficio) del primo Consiglio Comunale: quest’ultimo un’azione che ha posto un sigillo inequivocabile sulla componente antidemocratica e perfino sovversiva di chi organizza non già una protesta legittima (ancorchè basata sul nulla) ma un vero e proprio linciaggio ad personam.
Con queste minacce di morte siamo a una svolta. La Casa della Donna di Pisa (artefice di tanta opinabilissimna attività), dimostrando un livello di civiltà disastroso, ha fatto regredire la vicenda alla “cultura del nemico”: gli esempi da me citati solo pochi giorni fa non mi sembrano affatto peregrini. Ho parlato degli Ebrei perseguitati dai nazisti e della triste vicenda di Giacomo Matteotti. Gli esempi di questa “cultura del nemico” che ha via via attecchito anche da noi non può tralasciare il ricordo del commissario Calabresi, fatto oggetto a suo tempo di un’ingiusta campagna diffamatoria e denigratoria che ha prodotto quello che sappiamo. Come dire: alimentare l’odio produce sempre tragici risultati. Faccio gli scongiuri, e spero che non mi accada mai nulla. Ma se qualcosa dovesse succedermi, voglio che si sappia che considero la casa della donna di Pisa una sorta di mandante morale (consapevole o meno ha poca importanza) di ben più gravi azioni di quelle a cui abbiamo sinora assistito (giacché i fragili di mente e i cretini sono sempre in agguato, e per loro è facile l’assioma per cui, creato il mostro, esso vada abbattuto). Alla presidente di questa associazione non è bastata la querela per atti persecutori da me presentata: e a questo punto non posso che considerare il gruppo in questione come affetto da una particolare propensione a violare le regole democratiche e la Legge stessa. Dimostrandosi anche peggio di quello che pensavo, l’associazione si è fatta istigatrice d’odio e di un’incomprensibile “vendetta” (sebbene nel mio comportamento odierno e passato non ci sia proprio nulla di cui si debba vendicarsi).
Con una condotta che ha assunto i connotati di una vera e propria persecuzione contro di me (la cui motivazione è evidentemente anche quella di farsi facile pubblicità) queste instancabili attiviste hanno operato con evidente cialtronaggine manipolando informazioni, tralasciando quanto di più utile potesse chiarire veramente la questione, mistificando il risultato. Prova ne sia la leggenda diffusa ad arte secondo la quale il sottoscritto sarebbe stato assolto “perché all’epoca il reato non esisteva”. Un paradosso, una boutade: se così fosse stato non sarei neppure stato rinviato a giudizio. In realtà, per il reato contestato, io ho risposto dei fatti che vanno dal 22 febbraio 2009 (data di introduzione nel c.p. del 612 bis) al 30 dicembre di quell’anno: dieci mesi sviscerati in tutto e per tutto dal Tribunale di Pisa, che mi ha assolto. Così un uomo equilibrato e incensurato (che, va ripetuto, è stato assolto in primo grado, mentre il processo si è prescritto in Corte d’Appello; ma attende ancora l’esito del mio ricorso in Cassazione, e perciò non può neppure considerarsi “passato in giudicato”) ed eletto democraticamente dal popolo pisano, oggi è diventato paradossalmente il capro espiatorio di tutti i mali afferenti la violenza di genere che affligge la nostra società. Una responsabilità abnorme e insensata, enfatizzata da atteggiamenti che non esito a ritenere poco equilibrati e portatori di un’etica fatta a proprio uso e consumo. Un indecoroso esempio di come non dovrebbe mai essere la politica, che in questo frangente passa anzitutto dalla barbarie della menzogna. Un incubo della ragione che – oggi devo prenderne atto – produrrà alfine molti mostri.”