1 / 6 giugno ore 18.45, sabato ore 19.45, domenica ore 15.15 / Teatro della Pergola Firenze
8 giugno ore 19 / Teatro Era Pontedera
Fondazione Teatro della Toscana
Ruggero Albisani, Maria Casamonti, Pietro Lancello, Annalisa Limardi, Giacomo Lorenzoni, Alberto Macherelli Bianchini, Costanza Maestripieri, Sofia Menci, Elena Meoni, Giovanna Chiara Pasini, Marco Santi, Federico Serafini, Emanuele Taddei
PINOCCHIO
da Carlo Lorenzini
e con Gaia Imbasciati, Edoardo Massai, Niccolò Pangaro
scene Carlo De Marino
costumi e maschere Elena Bianchini
luci Samuele Batistoni
assistente alla regia Alessandra Niccolini
assistente costumi e maschere Eleonora Sgherri
direttrice di scena Federica Elisa Francolini
costruzione, macchineria Duccio Bonechi, Sandro Lo Bue, Francesco Pangaro
fonico Lorenzo Bernini
uno spettacolo di Pier Paolo Pacini
Durata: 1h e 30’, atto unico.
Teatro d’Arte, Teatro Pubblico, Teatro della Città, delle Città in cui opera, Casa degli artisti e Casa dei sogni: la Fondazione Teatro della Toscana ha riaperto acquisendo appieno, dopo la pandemia, la consapevolezza dell’identità finora perseguita. I Giovani, l’Europa, la Nuova e Vecchia Drammaturgia, la Lingua Italiana come materia prima testuale: tutti valori al centro di Pinocchio da Carlo Lorenzini, lo spettacolo di Pier Paolo Pacini che debutta in prima nazionale al Teatro della Pergola di Firenze (1-6 giugno) e al Teatro Era di Pontedera (8 giugno) con le attrici e gli attori del Corso ‘Orazio Costa’.
È un Pinocchio lontano dal classico per l’infanzia, ne indaga piuttosto i lati oscuri e inespressi. La favola di Collodi ha una modernità che altre non hanno, avvertiamo nettamente il suo aspetto noir, duro, perché, ad esempio, si parla di scuola, di falegnameria, non di castelli, né di regni incantati. «È la storia di un grandissimo inganno – spiega Pacini – Pinocchio è vittima di una fata che gli promette che diventerà un ragazzino, ma alla fine della favola il burattino Pinocchio è su una sedia, inerte, e accanto a lui c’è un bambino. Il burattino non si è traslato in un bambino, è morto e con la sua fine nasce il bambino».
Lo spettacolo nasce da un percorso di approfondimento e studio iniziato a fine 2020 con le attrici e gli attori del Corso “Orazio Costa”. La chiusura dettata dall’emergenza, infatti, è stata l’occasione di applicare appieno il metodo di lavoro e il modello produttivo che sono alla base dell’attività del Teatro della Toscana, e che sono dichiarati nel Manifesto per un nuovo teatro: dotazione economica delimitata e limitata, applicazione dei principi di rigore, umiltà, integrità e sincerità. Termini e principi probabilmente ‘fuori moda’, ma oggi sempre di più decisivi e fondamentali nel tempo che ci troviamo a vivere.
Seguendo questi principi gli spettacoli prodotti per la riapertura sono l’esito dell’incontro fra giovani attori e maestri, e i costumi, le maschere, le scene e gli apparati sono realizzati dal Laboratorio d’Arte e dal qualificato staff di palco.
Pinocchio è un eroe universale, una metafora dell’uomo. È il nostro lato oscuro e meraviglioso. È un sogno, un’illusione che nasce da un mondo fiabesco dove una Fata è in apparenza capace di soddisfare i desideri di un burattino; ma la verità è un’altra.
Per chi si ferma a una prima lettura la favola ha tutti i connotati tipici del lieto fine, ma a chi indaga più a fondo non può sfuggire una realtà diversa, quella che Pier Paolo Pacini nel suo Pinocchio da Carlo Lorenzini con le attrici e gli attori del Corso ‘Orazio Costa’ mostra tra meraviglia e incubo: la vicenda di Pinocchio non è felice (e questa realtà ci colpisce come un boomerang).
«Pinocchio viene tradito da chi lo spinge al cambiamento, tradito fino alle estreme conseguenze – chiarisce Pacini – il burattino Pinocchio alla fine della storia non c’è più. La sua non è una trasformazione, non diventa un bambino, ma la concretizzazione/nascita del bambino prevede la scomparsa, la fine, la morte del burattino».
Lo spettacolo, nato da un percorso di approfondimento e studio iniziato a fine 2020 con le attrici e gli attori del Corso ‘Orazio Costa’, non ci mostra un burattino che ci diverte ma un Pinocchio che ci fa riflettere, che ci guarda e ci chiede il perché delle promesse non mantenute, delle nostre negligenze e della nostra indifferenza verso i bisogni dell’infanzia.
La storia che Pacini racconta sfugge quindi a un finale “accomodante”, insistendo con grande forza di sintesi su un ricco ventaglio di stili e di “maniere” stranianti – compreso il ricorso all’uso del teatro di figura – testimonianze di un lungo processo di lettura e di assimilazione.
«La grandezza di questo testo – conclude Pier Paolo Pacini – è anche nella sua intrinseca capacità di far riflettere su un tema che non è solo quello dell’infanzia, ma che riguarda più in generale l’essere umano: tutti lottiamo come burattini per il nostro posto nel mondo».