Una nuova minaccia per le tartarughe marine: le infezioni fungine che colpiscono uova ed embrioni. Identificati per la prima volta sulle coste toscane 32 tipi di microfunghi che mettono a rischio la sopravvivenza degli embrioni delle tartarughe marine (Caretta caretta). La scoperta documentata sulla rivista Fungal Biology è stata effettuata da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali (DiSAAA-a) dell’Università di Pisa, assieme al personale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale (IZS) delle Regioni Lazio e Toscana e al responsabile scientifico dell’Associazione tartAmare.
La caratterizzazione molecolare dei microfunghi ha rivelato che si tratta di specie associate al genere Fusarium, note come patogeni delle piante, alcune delle quali mai ritrovate prima nelle uova di tartarughe marine. Questa particolarità, secondo i ricercatori, svela nuovi scenari sul parassitismo fungino, aprendo la possibilità che un microrganismo sia capace di infettare componenti sia del regno vegetale sia di quello animale.
“Le tartarughe marine stanno da tempo affrontando, a livello globale, numerose sfide, tra cui la distruzione del loro habitat, l’inquinamento delle acque, si pensi alle microplastiche, e le variazioni climatiche – spiega Cristina Nali professoressa dell’Università di Pisa – In questo preoccupante scenario questa nuova minaccia, la “fusariosi delle uova di tartaruga marina”, rappresenta un’emergente malattia infettiva, in grado di attaccare le uova all’interno dei nidi e di causare la mortalità degli embrioni”.
Caretta caretta è l’unica specie di tartaruga marina che nidifica lungo le coste del Mar Mediterraneo, depone le uova a terra, nella sabbia, e proprio nell’estate 2023 si è assistito a un numero record di rinvenimenti lungo le coste toscane, puntualmente segnalati e sorvegliati da una fitta rete di appassionati volontari amanti della natura.
“La presenza di specie di Fusarium nelle nidiate delle tartarughe marine è allarmante perché questi funghi possono compromettere la sopravvivenza degli embrioni – aggiunge il dottor Samuele Risoli, Dottorando del DiSAAA-a – Non dimentichiamo che le uova e i piccoli delle tartarughe marine sono da sempre decimate da predatori naturali e fattori ambientali avversi, per cui l’aggiunta di questa minaccia riduce ulteriormente le loro possibilità di sopravvivenza nei nostri areali”.
“La nostra ricerca evidenzia la complessità degli equilibri degli ecosistemi marini e la necessità di una vigilanza continua per proteggere queste magnifiche creature – conclude Cristina Nali – Le comunità della conservazione e le autorità locali devono lavorare insieme per garantire un futuro alle tartarughe all’interno del Mediterraneo”.
Cristina Nali direttrice del corso Master in Sviluppo sostenibile e cambiamento climatico ha condotto lo studio insieme al dottor Risoli e alla professoressa Sabrina Sarrocco dell’Ateneo pisano, al professor Riccardo Baroncelli dell’Università di Bologna, alla dottoressa Giuliana Terracciano dell’IZS e alla dottoressa Luana Papetti dell’associazione tartAmare.