Tutti gli amanti della natura insieme agli attivisti di Greenpeace hanno deciso di vestirsi in maniera inconsueta per protestare contro la presenza di sostanze chimiche pericolose e persistenti, dannose per la salute e l’ambiente, nei prodotti dei maggiori marchi del settore outdoor. La protesta è stata attuata in luoghi come località sciistiche, parchi urbani, boschi e monti di tutta Italia. Anche i volontari del gruppo locale di Greenpeace di Pisa hanno partecipato alla protesta globale, che si è tenuta in questi giorni in forme diverse in 19 Paesi del mondo dall’Australia alla Cina, dalla Germania alla Slovenia, recandosi alla falesia di Avane (Vecchiano, PI). Nel rapporto “Tracce nascoste nell’outdoor” http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2016/Detox/Tracce-nascoste.pdf, pubblicato qualche settimana fa da Greenpeace, emerge come The North Face, Patagonia, Mammut, Salewa e Columbia, solo per citare alcuni marchi presi in esame, continuino a usare PFC per impermeabilizzare i loro prodotti nonostante si dichiarino a parole sostenibili e amanti della natura. I PFC sono composti chimici che non esistono in natura e, una volta immessi nell’ambiente, possono diffondersi ovunque inquinando anche le aree più remote del Pianeta accumulandosi nei tessuti degli animali e persino nel sangue umano. Queste sostanze possono causare seri danni al sistema riproduttivo e ormonale, oltre ad essere collegati a numerose malattie gravi come il cancro. “Piuttosto che andare in montagna con abbigliamento contenente PFC, abbiamo deciso di vestirci in modo insolito per far riflettere gli appassionati di montagna e sport all’aria aperta, ma anche i marchi più popolari del settore, sulla necessità di non usare sostanze pericolose” afferma Giuseppe Ungherese, campagna inquinamento di Greenpeace Italia. Greenpeace ha analizzato 40 prodotti, votati nei mesi scorsi dagli appassionati di tutto il mondo sul sito web dedicato, trovando PFC non solo nell’abbigliamento, ma anche in scarpe, tende, zaini, corde e perfino sacchi a pelo. Solo in 4 prodotti (il 10 per cento quindi) non sono stati rilevati PFC, dimostrazione del fatto che solo poche aziende si stanno muovendo nella direzione giusta. Tuttavia questo risultato, ancora limitato a pochi prodotti, indica che è possibile produrre abbigliamento impermeabile non utilizzando sostanze chimiche così pericolose. “È paradossale che quando – conclude Ungherese – indossiamo l’abbigliamento per le nostre attività in mezzo alla natura contribuiamo a contaminarla con sostanze pericolose. Con la protesta di oggi gli appassionati dell’outdoor chiedono con forza ai loro marchi preferiti di invertire la rotta e scegliere alternative più sicure”.