Pochissimi i posti ancora disponibili per il Mein Kampfdi e con Stefano Massini al Teatro Era di Pontedera il 6 e 7 dicembre, ore 21. In scena la paranoica autobiografia di Adolf Hitler, un invasato visionario, sempre più convinto di poter sublimare le sue personali frustrazioni in un progetto politico rivoluzionario quanto delirante.
Cent’anni ci separano dal 1924, l’anno di pubblicazione del Mein Kampf. Otto anni sono trascorsi, invece, dal 2016, quando la Germania decise di consentirne nuovamente il ritorno in libreria, ritenendo che soltanto la conoscenza potesse evitare il ripetersi della catastrofe.
Dopo anni di lavoro, incrociando i testi di tutti i comizi del Führer con la prima stesura del libro-manifesto dettato dal giovane Hitler nella cella di Landsberg am Lech, Massini propone il Mein Kampf senza filtri, non solo con lo stile ossessivo, barocco ed enfatico del testo originario, ma soprattutto in un millimetrico studio teatrale dei ritmi, dei toni, degli affondi verbali del dittatore tedesco. E la consapevolezza di questo meccanismo è l’unico antidoto al suo nefasto replicarsi.
Le scene sono di Paolo Di Benedetto, le luci di Manuel Frenda, i costumi di Micol Joanka Medda, gli ambienti sonori di Andrea Baggio, la produzione è di Teatro Stabile di Bolzano, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, in collaborazione con Teatro della Toscana.
Scriveva Primo Levi che niente è più necessario della conoscenza per evitare il ripetersi della tragedia, soprattutto se essa prende forma lentamente nella progressiva seduzione delle masse. A un secolo di distanza da quando Adolf Hitler dettava il suo manifesto politico in una cella di Landsberg am Lech, quelle pagine sono diventate uno dei simboli del male assoluto, e come tali sottoposte all’anatema laico che ne ha fatto un libro proibito.
Ma questo cono d’ombra, figlio di una freudiana rimozione, ha contribuito ad accrescerne la mitologia fino a quando, nel 2016, la Germania ha deciso di consentirne nuovamente la distribuzione in libreria proprio per smontarne la leggenda e percepirne gli echi nel presente, con la consapevolezza che niente può distruggere l’orrore più del senso critico, e dunque la riconversione del mostro nei perimetri della realtà.
Sì, perché il Mein Kampf è in fondo solo l’autobiografia di un trentacinquenne delirante alla ricerca di capri espiatori e di sfoghi esistenziali, con l’aggravante, però, di una spiccata propensione all’empatia, agli albori di un Novecento che nel carisma avrebbe eletto la propria apoteosi.
Da questa formula, ripetibile e tuttora emulata a ogni latitudine, discende l’urgenza di confrontarci ora più che mai con un testo mai morto, capace di riproporsi sotto marchi e colori diversi, soprattutto in un’epoca in cui la propaganda si è ramificata online, e ci raggiunge ormai capillarmente.T