“Lo sciopero del giorno 8 Marzo – si legge in un comunicato dei delegati e lavoratori indipendenti – è stato reso possibile dalla indizione da parte del sindacalismo di base, fosse dipeso dalla Cgil (eccetto la Flc) oggi questa giornata non sarebbe possibile. Non saremo certo noi a dire alle lavoratrici e ai lavoratori di non scioperare, ogni forma di conflitto e di lotta è benvenuta soprattutto in un momento storico in cui le iscrizioni ai sindacati sono ai minimi termini e si stanno restringendo ai minimi termini gli spazi di libertà, di agibilità democratica, si negano perfino diritti acquisiti presentandoli come privilegi da sopprimere.”
“Tuttavia questo sciopero non convince – continua il comunicato – costruito fuori dai luoghi di lavoro e catapultato sulle nostre teste. Rare le assemblee nei luoghi di lavoro, rari i volantinaggi, se uno sciopero viene indetto si dovrebbe cercare tutte le forme necessarie per la sua riuscita promuovendone la partecipazione tra i lavoratori e le lavoratrici. Non Una Di Meno continua a lavorare ad un piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, noi non possiamo che essere concordi ma ci sono molte altre forme di violenze che scaturiscono dalla ricchezza prodotta indirizzata non ai redditi ma alle speculazioni finanziarie. Una parte del cartello femminista non ha mostrato analoga sensibilità verso altre forme di violenza, quella che va espellendo dalle aziende tanti uomini e donne ritenuti ormai troppo vecchi per essere spremuti nei luoghi produttivi.
L’adesione poi di alcuni consigli comunali a questo sciopero è un campanello di allarme perché tanta sensibilità verso l’8 Marzo stride con la chiusura rispetto ai bisognosi di casa, ai lavoratori, alle istanze sociali, alla applicazione della nozione di degrado urbano per costruire sui territori un clima repressivo.
Ci auguriamo che l’8 Marzo riesca ma questo sciopero non convince, gli scioperi costruiti dai movimenti sono destinati a diventare un fatto individuale nei luoghi di lavoro rispetto ai quali i movimenti sono sovente estranei, soprattutto se le piattaforme rivendicative sono di genere e per principio tagliano fuori le reali cause dell’oppressione, dell’attacco ai salari, al welfare, alla sanità e all’istruzione. Ieri come oggi al genere preferiamo un punto di vista diverso, quello della salvaguardia delle classi sociali meno abbienti e dei lavoratori .
Chiudiamo con un esempio per noi illuminante: quando è nato il movimento delle lavoratrici domestiche boliviane per un salario minimo garantito e per conquistare alcuni diritti elementari, una buona parte della società e della sinistra Boliviana (incluso il femminismo storico locale) ha ostacolato queste rivendicazioni giudicandole esose. Ebbene le lavoratrici domestiche avevano trasformato la questione di genere in rivendicazione di classe, per questo hanno pagato con il carcere e l’isolamento la loro lotta. In Italia quante femministe sarebbero disposte a mettere in secondo piano il genere rispetto alla classe e mobilitarsi per una prospettiva che riguardi le classi sociali meno abbienti? E dalle condizioni di vita e di lavoro che bisogna ripartire!”