71 anni fa la città di Pisa subì un pesantissimo bombardamento che portò lutti e sciagure che, purtroppo sarebbero durate ancora. Per chi visse quel periodo storico, resta ancora aperta una ferita nella memoria e nel ricordo. Anche chi non ha vissuto quei giorni non può fare a meno di trattenere il fiato, a distanza di decenni, ormai, e pensare a cosa successe.
Alle 13 di quel maledetto 31 agosto del 43, Pisa venne investita da un uragano di fuoco, un inferno che durò sette lunghissimi minuti. Il numero esatto delle vittime non si è mai saputo. La cifra oscilla tra i 900 stimati al momento, ed i più probabili 2500 moltissimi dei quali mai ritrovati e letteralmente sepolti sotto la stazione. Andarono persi patrimoni artistici come il complesso della Cittadella, ricostruito nel dopoguerra ma in modo diverso ed incompleto. Andò definitivamente perso l’uso del sostegno, cioè la struttura che permetteva l’unione dell’Arno al canale dei Navicelli. Un sistema che permetteva la navigazione (da Pisa a Livorno) adatto appunto per i navicelli, imbarcazioni leggere che poi hanno dato il nome al canale. Quello di Pisa fu un bombardamento inutile dal punto di vista militare, dato che l’Italia era ormai in ginocchio ed i rifornimenti tedeschi non furono messi in pericolo. Inutile anche dal punto di vista mentale, dato che il morale dei pisani e degli italiani era da tempo sotto i tacchi. Un tipo di bombardamento già sperimentato in molti scenari e messo in pratica in Italia su volere di Arthur Harris, comandante dei bombardieri della Royal Air Force. Furono tragiche ore, durante le quali scomparvero molti storici aspetti pisani. La mattina del 31 agosto, 152 apparecchi statunitensi decollarono dalla base in Tunisia e la tragedia arrivò quando molti erano a pranzo. Tra gli aerei impegnati c’erano 48 B 17, i bombardieri pesanti tristemente famosi. Giunti in prossimità della città, il primo nucleo detto flight leader iniziò a sganciare le bombe, gli altri apparecchi che seguivano dovettero bombardare alla cieca tanto era il fumo prodotto dalle prime bombe. Il quartiere di Porta a Mare non esisteva più. Sulla fabbrica della Saint Gobain caddero 367 bombe che provocarono 56 morti tra gli operai, quasi tutti rimasti uccisi durante la pausa pranzo. La contraerea potè ben poco. Le batterie tedesche da 88 e quelle italiane da 90 abbatterono 4 velivoli, mentre dal campo di Arena Metato si alzò la caccia italiana con alcuni Macchi 200, impotenti di fronte alle fortezze volanti. Anche i piloti italiani pagarono un duro tributo. In tutto caddero, da un’altezza di seimila metri, sulla parte meridionale della città 480 tonnellate di bombe, delle quali pochissime restarono inesplose. Alla fine si contarono i danni: furono 2500 le case distrutte o comunque sinistrate, i lungarni semidistrutti, i ponti crollati, la stazione rasa al suolo, il quartiere di Porta a Mare polverizzato, danneggiate gravemente le chiese di Sant’Antonio, San Paolo a Ripa d’Arno, distrutto il convento delle Benedettine che si salvarono miracolosamente, gravemente danneggiata la cappelletta di Sant’Agata. Moltissimi pagarono con la vita il durissimo prezzo di una guerra che all’alba del primo settembre del 1943 era ancora ben lontana dal potersi dire conclusa. Oggi ormai restano poche tracce di quei minuti tremendi. Qualcosa sul lungarno Galilei e nel quartiere di Porta a Mare. Lo sbarco in Sicilia del 10 luglio del 43 contribuì alla caduta del fascismo e del governo Mussolini il 25 luglio. Il Re scaricò Mussolini e nominò capo del governo Badoglio che temporeggiava. Del Re e di Badoglio gli alleati non si fidavano. In questa ottica si spiega il bombardamento di Roma, del sud Italia e di Pisa.