L’ex dirigente comunale, 75 anni, capo dell’ufficio edilizia scagionato anche dall’usura e falso in atto pubblico per i lavori l’illuminazione sul lungomare. Il giudice Gabriella Marinelli, presidente del collegio, impiega meno di 30 secondi per leggere la sentenza di assoluzione con la quale spazza via cinque anni processi, una trentina di udienze e sei di sospetti sull’operato di Paolo Domenici: oggi pensionato pubblico di 75 anni, fino al 2007 dirigente del Comune di Livorno e soprattutto figura apicale dell’ufficio edilizia e poi membro del consiglio di amministrazione della Porta Medicea srl, società che si occupava del monitoraggio delle luci in città.
Con Domenici sono stati assolti «perché il fatto non sussiste» anche gli imprenditori fiorentini Piero Lorenzini, 77 anni, e Roberto Alfatti, 46. Così l’unico a pagare in questa inchiesta è stato l’architetto Giuseppe Di Pietrantonio, l’allora dirigente dell’ufficio edilizia del Comune che nel dicembre 2010 ha patteggiato 6 mesi per falso. L’ex dirigente pubblico, per il quale il pubblico ministero Massimo Mannucci aveva chiesto nella penultima udienza una condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione , è stato assolto con formula piena anche per gli altri due reati che gli venivano contestati: usura e falso in atto pubblico. «Oggi possiamo dire senza poter essere smentiti che Paolo Domenici è stato vittima di un errore giudiziario come Enzo Tortora – spiega l’avvocato Giovanni Frullano che con il collega Alberto Uccelli ha difeso il professionista – Sì, perché fin dal primo momento non c’erano le prove della sussistenza dei fatti contestati.
Abbiamo portato prima in Procura e poi al giudice dell’udienza preliminare documenti che dimostravano l’innocenza del nostro cliente, ma nessuno per anni ci ha ascoltato. Il mio cliente si è difeso nel processo senza mai adombrare comportamenti criticabile. Ora dopo cinque anni il tribunale di Livorno ha stabilito che le accuse non sussistono senza se e senza ma: assolto con formula piena per non aver commesso il fatto per quello che riguarda l’abuso d’ufficio. Al centro dell’indagine della finanza, che portò anche all’arresto di Domenici nel marzo 2010, una presunta tangente versata da Lorenzini all’ingegnere. Secondo la Procura, Domenici come responsabile unico del procedimento e socio della Fashion Light di Bagno a Ripoli (di cui Lorenzini era socio), attraverso la fiduciaria Sirefid spa, avrebbe assegnato con una trattativa privata alla Fashion Light (siamo nel 16 giugno 2004) i lavori per la costruzione di pali ornamentali per l’illuminazione pubblica (viale Italia) per un importo di 220.000 euro.
Un comportamento contrario ai doveri d’ufficio che il dipendente pubblico avrebbe proseguito anche negli anni successivi. E secondo gli inquirenti sarebbe stato aggravato dalla somma che Lorenzini ha versato sul conto della famiglia Domenici. A mettere gli inquirenti sulla cattiva strada otto assegni, ciascuno dall’importo di 12.500 euro: intestati al padre dell’imputato e poi girati al figlio e depositati su due conti distinti. «Si trattava di una somma che doveva essere restituita dal Lorenzini al padre di Domenici per un affare immobiliare che non si era poi concretizzato dopo il prelimnare di acquisto. Ma questo lo abbiamo detto più volte agli investigatori. Abbiamo portato i contratti e dieci anni di conti correnti della famiglia Domenici. Ma tutta questa trasparenza non è bastata».
A far scattare l’indagine della Procura due lettere anonime arrivare in via Falcone e Borsellino e nelle quali – su carta intestata del Comune – si gettavano ombre sull’integrità e la correttezza dell’ingegnere. «La cosa a mio avviso più vile di questa storia – si sfoga l’avvocato Alberto Uccelli – è proprio quella lettera anonima. Documenti come quello non dovrebbero essere presi in considerazione e non dovrebbero esistere perché creano una suggestione iniziale. Il fatto che recasse il logo del Comune gli ha affidato una certa e presunta attendibilità e questo è stato un filtro che ha reso tutto difficile. Lo abbiamo detto anche al pubblico ministero contestandogli di non aver avuto la forza di resistere alla suggestione e volendo andare fino in fondo. Per fortuna il Tribunale gli ha dimostrato oggi che aveva sbagliato tutto».