La scoperta di un nuovo cranio fossile di Paranthropus robustus di circa 2 milioni di anni fa, rinvenuto nel sito paleoantropologico di Drimolen, nella cosiddetta “Cradle of Humankind” presso Johannesburg (Sudafrica), ha portato nuova luce sui processi microevolutivi subiti dalla specie estinta di ominini, che visse probabilmente un periodo di rapido e turbolento cambiamento climatico. Lo studio è stato condotto da un gruppo internazionale di ricerca costituito da membri di University of Johannesburg, La Trobe University di Melbourne, Washington University-St. Louis e Università di Pisa, con la partecipazione di Giovanni Boschian, docente del dipartimento di Biologia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature Ecology & Evolution.
Prima del ritrovamento del nuovo reperto, si credeva che la specie di Paranthropus fosse caratterizzata da un forte dimorfismo sessuale, con individui maschi che presentavano dimensioni corporee e struttura cranica molto superiori rispetto alle femmine, come oggi in gorilla, oranghi e babbuini. Il nuovo fossile, classificato con la sigla DNH 155, è chiaramente appartenuto a un maschio della specie di Paranthropus, ma è di dimensioni minori dei maschi rinvenuti nel vicino sito di Swartkrans, e a sua volta è più grande di DNH 7 “Eurydice”, un individuo presunto femmina trovato sempre a Drimolen alcuni anni fa. Il ritrovamento di DNH 155, chiaramente contemporaneo di DNH 7 e proveniente dallo stesso sito, fa supporre che il dimorfismo fosse molto meno pronunciato e indica che Paranthropus robustus si sia evoluto rapidamente. Infatti Drimolen è di almeno 200.000 anni più antico di Swartkrans, come è risultato da uno studio del medesimo gruppo di ricercatori, pubblicato su Science all’inizio di quest’anno. Drimolen rappresenta quindi una popolazione più arcaica della medesima specie, mentre Swartkrans ne rappresenterebbe una anatomicamente più derivata.
“La nuova scoperta mette in evidenza un sottile cambiamento avvenuto in tempi relativamente brevi durante il processo evolutivo di una specie – spiega il professor Giovanni Boschian – È un caso estremamente raro e difficile da osservare nella documentazione fossile, che è notoriamente molto discontinua e incompleta, soprattutto nel caso degli ominini e che rende particolarmente importante questa scoperta. In questo caso possiamo osservare una piccola finestra spazio-temporale nel processo evolutivo, ovvero ciò che avvenne a una specie, in un’area ristretta e in un breve periodo di tempo”.
Il contesto paleoambientale è un altro aspetto che rende particolarmente importante il ritrovamento. Il periodo intorno a due milioni di anni fa è stato in Africa australe un momento di rapido e quasi turbolento cambiamento climatico che sembra aver causato in Paranthropus robustus cambiamenti anatomici che prima di questa scoperta erano attribuiti al dimorfismo sessuale. Ma l’influenza del cambiamento ambientale, che si manifestò con marcata aridizzazione e raffreddamento del clima, sembra esser stata di portata ben maggiore: “Sappiamo che in questo periodo la comparsa di Paranthropus robustus coincise all’incirca con la scomparsa di Australopithecus e con l’arrivo dei primi rappresentanti del genere Homo in Sudafrica – aggiunge Boschian – Si trattava di una situazione di stress per tutti ma, mentre Australopithecus non resistette, Paranthropuse e Homo adottarono due strategie adattative divergenti: i primi con piccoli cervelli e grandi denti adatti a cibi duri e coriacei, Homo erectus con grande cervello e piccoli denti più adatti a un selezionato cibo tenero”.
Tuttavia lo stress si manifestò attraverso il tempo su Paranthropus, infatti le caratteristiche anatomiche di DNH 155 mostrano che le forme più arcaiche di Drimolen non erano in grado di masticare con una forza pari a quella dei loro successori di Swartkrans. In 200.000 anni si manifestò un processo evolutivo in grado di favorire coloro in grado di nutrirsi di cibo sempre più resistente. Per quanto Paranthropus robustus sembri esser stato le specie dominante nell’area, alla fine però fu Homo a resistere alla pressione selettiva.
DNH 155 è uno dei crani meglio preservati della specie e si unisce al già ricchissimo materiale che Drimolen ci ha restituito e che testimonia l’accuratezza e la perseveranza del gruppo di ricerca nel lavoro sul campo e poi di studio dei reperti, che include lo studio multi- e transdisciplinare di tutti gli aspetti del sito. Recentemente l’Università di Pisa insieme a University of Johannesburg ha ottenuto un grant Erasmus+ KA107 per la mobilità di docenti e studenti che potrà consolidare i rapporti tra gli Atenei e favorire nuove scoperte.